Originariamente questa struttura ospitava fin dal XII secolo i monaci Vallombrosiani che si erano insediati dove precedentemente esisteva un oratorio dedicato a San Giorgio. A loro volta questi religiosi furono sostituiti nel 1290 dai monaci Benedettini Silvestrini che giunsero in questo luogo dal villaggio di San Marco Vecchio da cui deriva il nome dell’attuale basilica dedicata, appunto, all’evangelista San Marco.
Nel 1418, tuttavia, i Silvestrini furono costretti su ordine di Papa Eugenio IV ad abbandonare il convento con l’accusa di vivere ‘senza povertà e senza castità’.
Al loro posto, nel 1435, giunsero da San Domenico in Fiesole i frati Domenicani osservanti e trovarono il convento e la chiesa in pessime condizioni visto che i Silvestrini avevano spogliato l’edificio dei loro arredi e ne avevano dato alle fiamme una parte. Nel 1437, cominciò, dunque, il primo di una serie di lavori di ristrutturazione a cui l’edificio è stato sottoposto nel corso dei secoli e a voler recuperare questo luogo di culto fu proprio la famiglia Medici che abitava nel vicino palazzo che oggi porta il nome Medici Riccardi.
Cosimo il Vecchio affidò i lavori a Michelozzo, l’architetto preferito dei Medici, che progettò la chiesa, l’ospizio dei pellegrini, il chiostro, la biblioteca e gli alloggi dei frati. Il Beato Angelico, invece, si occupò della decorazione parietale insieme ai suoi collaboratori.
La chiesa fu consacrata, alla presenza del Papa stesso, nell’epifania del 1443 e continuò a mantenere quelle sembianze (a parte un paravento eliminato dal Vasari) fino al 1588 quando fu ristrutturata su progetto del Giambologna; tra il 1777 e il 1778, invece, fu realizzata l’attuale facciata ad opera del frate domenicano Giovan Battista Paladini. Nel 1866 i frati domenicani furono cacciati e il chiostro originario fu trasformato nel 1869 in un museo dove, nel 1921, furono esposti quasi tutti i dipinti su tavola superstiti del Beato Angelico.
A colpire l’occhio di chi attraversa Piazza San Marco a Firenze è senz’altro la facciata della basilica, con il suo stile neoclassico e la sua divisione su tre ordini, le paraste in tre fasce orizzontali e con il suo portale sovrastato un finestrone. Le due nicchie con statue presenti sulle fasce laterali lasciano il posto, più in alto, a nastri e festoni che conferiscono alla facciata un aspetto davvero particolare e piacevole alla vista. Alzando ancora lo sguardo, poi, nel registro superiore si nota un bassorilievo decorativo e un timpano sormontato dalla croce in ferro.
Entrando nella basilica si nota subito che è composta da un’unica navata piuttosto squadrata, ma a catturare l’occhio sono le numerose cappelle laterali disegnate sul finire del ‘500 dal Giambologna. Le tavole cinquecentesche e seicentesche che le adornano hanno preso il posto degli affreschi trecenteschi di cui, però, è possibile ammirare dei frammenti, a riprova del fatto che le pareti sono state sottoposte a diversi rifacimenti pittorici.
I più apprezzabili resti delle opere trecentesche sono, tuttavia, visibili sulla controfacciata: il grande Crocifisso risalente al 1335 e realizzato dalla scuola dell’Orcagna, e l’Annunciazione del 1375 ispirata a quella miracolosa della basilica della Santissima Annunziata.
Negli altari di destra troviamo la pala di Santi di Tito che rappresenta magnificamente la Visione di San Tommaso D’aquino (1593), la Madonna e Santi di Fra’ Bartolomeo (1509 circa) e l’impressionante mosaico bizantino della Vergine in preghiera che stupisce per le sue grandi dimensioni ed anche perché è probabilmente databile addirittura agli inizi dell’VIII secolo; interessante è anche la sua storia perché arrivò in questo convento intorno al 1596 provenendo addirittura dall’antica basilica di San Pietro in Vaticano, mentre le raffigurazioni di San Domenico e San Raimondo in adorazione intorno alla Vergine, insieme agli angeli, furono aggiunti solo quando l’opera arrivò a Firenze e vennero realizzati imitando la tecnica del mosaico.
Il quarto e ultimo altare sulla destra offre la Madonna del Rosario e angeli che portano in cielo San Domenico, una tela del 1640 realizzata da Matteo Rosselli, e la preziosa statua di San Zenobi scolpita dal Giambologna sull’arco che incornicia l’altare.
I tre altari sulla sinistra sono altrettanto interessanti in quanto presentano, in ordine partendo dall’ingresso, la tela di Eraclio che porta la croce dipinta dal Cigoli nel 1594, il Matrimonio mistico di Santa Caterina, copia dell’opera di Fra’ Bartolomeo realizzata nel 1690 da Anton Domenico Gabbiani, e per ultimo il Miracolo di San Vincenzo Ferrer dipinto dal Passignano nel 1593.
Da non dimenticare, inoltre, che tra la seconda e terza cappella di sinistra sono sepolti gli umanisti Pico della Mirandola e Angelo Poliziano. Le loro tombe sono posizionate sulla parete nord dietro la scultura del Savonarola di cui Pico della Mirandola era stato un grande alleato, e sono state aperte nel 2007 da un gruppo di ricercatori il cui studio ha permesso di dimostrare che i due illustri personaggi morirono per avvelenamento e non a causa della sifilide come si credeva anteriormente.
La cupola della Basilica di San Marco venne progettata da Angelo Ferri nella prima decade del ‘700 e fu affrescata da Alessandro Gherardini nel 1717, mentre il soffitto ligneo di fattezza barocca era stato realizzato da Pier Francesco Silvani nel 1679; originariamente la chiesa doveva essere una copia della chiesa sepolcrale di San Domenico, il fondatore dell’ordine, e anticamente due schermi dividevano lo spazio riservato agli uomini e ai frati da quello dedicato alle donne.
Sulla sinistra del Presbiterio, sotto il cui organo troviamo l’Ultima cena di Pier Dandini (1686), vi è un portale barocco dal quale si accede alla Cappella Serragli, chiamata anche Cappella del Sacramento, la cui costruzione iniziò negli ultimi anni del ‘500: è dedicata al mistero dell’eucaristia e la sua volta affrescata è divisa in tre spazi distinti in cui si possono ammirare le rappresentazioni dei Doni dello Spirito Santo (Santi di Tito, 1594) espressi con figure femminili posizionate intorno ad una colomba realizzata in stucco, un Cristo in Gloria, la Speranza (Bernardino Poccetti, 1603 circa) e infine i Frutti della dolcezza della Comunione, rappresentati da quattro figure femminili disposte intorno ad un alveare dorato in stucco (Bernardino Poccetti, 1603 circa). Sulla pala d’altare troviamo, invece, la Comunione degli Apostoli che Santi di Tito iniziò a creare e che fu poi completata da suo figlio Tiberio di Tito, e sulle pareti anche quattro tele: La Storia della Manna (Passignano, 1625), Cena in Emmaus (Francesco Curradi), Miracolo dei pani e dei pesci (Francesco Curradi) e il Sacrificio d’Isacco (Empoli).
A sinistra della navata si trova la Cappella Salviati (o Cappella di Sant’Antonino) che venne progettata sul finire del ‘500 come spazio separato dalla basilica stessa e quindi con un accesso esterno. Qui sono conservate, sotto l’altare della Cappella superiore, le spoglie di Sant’Antonino, arcivescovo di Firenze.
La costruzione della cappella iniziò all’incirca nel 1580 dalla Cripta dove ora si trovano le tombe dei membri della famiglia Salviati e la cappella superiore venne progettata dal Giambologna e decorata quasi completamente da Alessandro Allori che realizzò proprio la decorazione a grisaglia, parola che sta ad indicare l’uso del monocromo. Opera dell’Allori è anche la pala d’altare che rappresenta la Discesa al Limbo, mentre la tavola laterale di sinistra fu dipinta dal Poppi e prende il nome di Gesù che guarisce il lebbroso. La tavola laterale di destra, invece, è opera di Gian Battista Naldini e rappresenta la Vocazione di San Matteo.
Basilica San Marco – Frati Domenicani – Via Cavour, 56 Firenze
Email: sanmarco@dominicanes.it
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